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Il contrasto giurisprudenziale sull’interpretazione della normativa dei BFP

Sulla questione relativa ai Buoni fruttiferi Postali appartenenti alle serie O, P e Q, si è creato un rilevante contrasto giurisprudenziale che non è stato risolto nonostante si siano susseguite numerose sentenze della Suprema Corte – anche a Sezioni Unite – riconducibili a due vie interpretative distinte:

  • da una parte, alcune pronunce ritengono che si debba dare rilievo a quanto indicato nel testo del Buono Fruttifero Postale, e questo orientamento è fondato sul legittimo affidamento ingenerato nel risparmiatore (“Nella disciplina dei buoni postali fruttiferi dettata dal testo unico approvato con il d.P.R. n. 156 del 1973, il vincolo contrattuale tra emittente e sottoscrittore dei titoli si forma sulla base dei dati risultanti dal testo dei buoni di volta in volta sottoscritti; ne deriva che il contrasto tra le condizioni, in riferimento al saggio degli interessi, apposte sul titolo e quelle stabilite dal d.m. che ne disponeva l’emissione deve essere risolto dando la prevalenza alle prime, essendo contrario alla funzione stessa dei buoni postali – destinati ad essere emessi in serie, per rispondere a richieste di un numero indeterminato di sottoscrittori – che le condizioni alle quali l’amministrazione postale si obbliga possano essere, sin da principio, diverse da quelle espressamente rese note al risparmiatore all’atto della sottoscrizione del buono” – Cass. Civ., Sez. I, Sentenza n. 19002 del 31 luglio 2017);
  • dall’altra parte, invece, ci sono delle pronunce che ritengono fondata la facoltà del Ministero del Tesoro di modificare i tassi di interesse dei Buoni Fruttiferi con la sola pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del proprio Decreto di modifica (“La variazione (anche in pejus) dei tassi di rendimento dei buoni fruttiferi postali, di cui al combinato disposto dell’art. 173 d.P.R. n. 156 del 1973 e del d.m. del 13 giugno 1986, si applica a rapporti giuridici pendenti secondo lo schema dell’art. 1339 c.c., non postulando l’adempimento di alcun obbligo informativo individuale, ulteriore rispetto alla pubblicazione del decreto ministeriale nella Gazzetta Ufficiale prevista dal citato art. 173“ – Cass. Civ., SS.UU., Sentenza n. 3963 del 11 febbraio 2019).

Seguire un orientamento piuttosto che l’altro, risulta avere un rilevante impatto sulla quantificazione degli stessi buoni. Così:

  • se si dovesse seguire la prima ipotesi – con la contestuale attuazione del terzo comma dell’art. 173 Cod. Post. – bisognerebbe applicare i tassi di interesse indicati testualmente sul Buono stesso e, quindi, attuare il principio del legittimo affidamento;
  • la seconda linea interpretativa, invece, si basa sulla presunta legittimità del comportamento tenuto dal Ministero del Tesoro negli anni ‘80 (e, conseguentemente, di Poste Italiane) circa l’obbligo di informazione a favore dei propri clienti che si riteneva correttamente adempiuto al momento della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del testo del Decreto e delle nuove tabelle relative agli interessi, con la conseguente applicazione dei nuovi tassi così modificati anche rispetto ai buoni già emessi. Tale modifica veniva, dunque, ritenuta idonea ad integrare il contratto intercorrente tra le parti ai sensi dell’art. 1339 c.c. in quanto il Decreto Ministeriale sarebbe da ricondurre – secondo una parte di Giurisprudenza di legittimità – alle cd. norme imperative, che sono considerate necessariamente inderogabili e contengono un comando a cui bisogna obbligatoriamente conformarsi. Per tali ragioni, si è ritenuto che il contratto intercorrente tra il cliente e Poste Italiane con oggetto il Buono Fruttifero Postale – da più parti considerato come contratto privato, nonostante i titoli fossero emessi su indicazione del Ministero del Tesoro – sia stato correttamente integrato da tali norme successive, integrative ex lege del contratto.

Nel citato argomento, quindi, il contrasto giurisprudenziale formatosi non è ancora stato risolto in modo definitivo.

13 Aprile 2023 | Autore: Avv Daniele Segafredo

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