La tutela giuridica della malattia celiaca – parte 2: L’esposizione dei prodotti
La produzione, l’esposizione, la conservazione e l’etichettatura dei cibi sono certamente elementi essenziali che caratterizzano la tutela dei consumatori e, per quanto qui interessa, alle persone affette dal morbo celiaco.
Infatti, gli alimenti adatti alla dieta del celiaco non possono limitarsi a riportare solamente un’asettica dicitura “senza glutine“, ma devono necessariamente seguire una filiera produttiva sottoposta a particolare attenzione e a rigidi accorgimenti volti ad evitare che vi sia un superamento delle soglie previste dalla legge e dai regolamenti comunitari (si ricorda che, secondo i Regolamenti europei, qualsiasi alimento – per essere considerato adatto alle persone celiache – deve contenere un quantitativo di glutine non superiore alle 20 parti per milione – o, per semplicità, 20 mg/kg).
La linea produttiva e quella di commercializzazione dei prodotti, quindi, devono garantire che non vi sia la cd “contaminazione del prodotto“, ossia che il prodotto adatto alla dieta senza glutine diventi inadatto per essere entrato in contatto con l’alimento, per così dire, “proibito”.
Orbene, anche l’esposizione nelle farmacie autorizzate, nei supermercati e nei GDO rientra nel concetto di filiera produttiva/di commercializzazione dei prodotti e deve sottostare alle normative alimentari fissate dal Regolamento UE 1169/2011.
In particolare, all’art. 7 del suddetto Regolamento è previsto, tra le altre cose, che “…le caratteristiche dell’alimento e, in particolare, la natura, l’identità, le proprietà, la composizione, la quantità, la durata di conservazione, il paese d’origine o il luogo di provenienza, il metodo di fabbricazione o di produzione…” non devono essere fuorvianti, ossia indurre in errore il cliente. In più, al paragrafo 4 del citato art. 7, il Legislatore comunitario ha ritenuto di applicare la stessa regola volta ad evitare l’induzione in errore dell’utenza anche con riferimento “…alla presentazione degli alimenti, in particolare forma, aspetto o imballaggio, materiale d’imballaggio utilizzato, modo in cui sono disposti o contesto nel quale sono esposti…“.
Pertanto, sotto l’aspetto dell’esposizione, è evidente che la promiscuità degli alimenti con glutine e di quelli senza glutine nello stesso scomparto o, ancor peggio, nello stesso scaffale possa creare una cattiva ed inesatta informazione nei confronti della clientela, oltre a possibili contaminazioni che potrebbero comportare conseguenze estremamente rilevanti sotto l’aspetto della salute dei consumatori.
A tal proposito, pur limitandosi alla legislazione penale nazionale, è necessario precisare che l’esposizione al pubblico di un prodotto alimentare che non ha le qualità pubblicizzate ovvero che possa indurre in errore il consumatore può rientrare nella fattispecie penale della “frode nell’esercizio del commercio”, previsa e punita ex art. 515 c.p.
Sul punto, la Suprema Corte ha precisato che “L’elemento materiale del delitto di cui all’art. 515 c.p. (frode nell’esercizio del commercio) consiste nel consegnare all’acquirente cosa mobile non conforme a quella convenuta ed il termine «consegna» fa riferimento ad un’attività contrattuale (pattuizione-dichiarazione) tra venditore ed acquirente, sicché nel sistema di vendita al pubblico adottato dai supermercati il prodotto non solo è offerto al pubblico, ma è anche messo a sua completa disposizione e l’esposizione in vendita coincide con la possibile consegna all’acquirente” (Cass. Pen., Sez. III, sentenza n. 3953 del 1995).
L’esposizione dei prodotti all’interno del punto vendita non è certamente casuale, ma regolata da norme specifiche volte a tutelare quanto più possibile il consumatore finale.
6 Aprile 2023 | Autore: Avv Daniele Segafredo
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